INDIA Uttar pradesh Febbraio 2019
Mathura è una delle sette città sacre dell’India, come Varanasi e Haridwar, per intenderci. Nonostante la sua importanza spirituale, non è molto frequentata dal turismo straniero, ma per i pellegrini indiani è un luogo di profonda devozione. Questa caratteristica le conferisce un fascino speciale: una cittadina che sembra sospesa nel tempo, dove le tradizioni si mescolano al ritmo della vita quotidiana.
Ho lasciato Lucknow intorno alla mezzanotte, con il cuore pieno di emozioni contrastanti. Jothi mi ha accompagnato alla stazione, camminando al mio fianco con una calma che contrastava con il caos attorno a noi. Le luci al neon illuminavano i binari e i venditori ambulanti gridavano le loro offerte di tè e snack. Ci siamo salutati con un abbraccio caldo, e la promessa, forse illusoria, di incontrarci ancora.
La carrozza numero nove era affollata, piena di corpi addormentati e borse accatastate ovunque. Con un misto di fatica e sollievo, ho trovato la mia branda. Il treno sembrava vivo, con il suo incessante sferragliare e il brusio di voci lontane. Mi sono infilato nel mio sacco lenzuolo, cercando un angolo di pace in quel piccolo microcosmo di umanità, e mi sono addormentato quasi subito, cullato dal movimento ritmico del treno.
Un improvviso fischio mi ha svegliato nel cuore della notte. La penombra del vagone era spezzata solo dalla luce tenue delle lampadine fioche. Intorno a me, volti sconosciuti dormivano profondamente, alcuni rannicchiati sui sedili, altri accovacciati sul pavimento. Ho cercato di riaddormentarmi, ma il pensiero di Mathura, la sacra dimora di Krishna, mi teneva sveglio.
Con il primo chiarore dell’alba, il treno ha iniziato a rallentare. Ho arrotolato il mio sacco lenzuolo con movimenti lenti, quasi rituali. Scendendo dalla branda in alto, ho infilato le infradito e mi sono diretto verso il bagno. La porta del vagone era socchiusa, e da lì ho intravisto la campagna illuminata dalle prime luci del sole: distese di campi verdi punteggiati da piccoli villaggi, dove il fumo delle cucine mattutine si alzava pigro verso il cielo.
Man mano che ci avvicinavamo, la serenità della campagna lasciava spazio all’animazione della città. Strade polverose, templi antichi che spuntavano tra le case e gruppi di pellegrini che camminavano verso la loro meta. Mathura mi stava accogliendo con la sua energia, carica di fede e storia.
Scendendo dal treno, il profumo dell’incenso e il suono delle campane mi hanno immediatamente avvolto. Sapevo che quella giornata avrebbe lasciato un segno dentro di me, in un luogo dove ogni angolo sembrava raccontare una storia sacra. Mathura, con la sua devozione e il suo ritmo unico, mi stava aspettando.
Esco dalla stazione, accolto immediatamente da un piccolo esercito di uomini con i loro rickshaw. Sono lì, come predatori pazienti, pronti a portarmi ovunque desideri. I loro occhi brillano di aspettativa mentre mi avvicino. Tratto sul prezzo, mostrandomi irremovibile. So che il gioco della contrattazione fa parte del rituale: un tira e molla che a volte è quasi divertente. Mi incammino verso l’uscita con passo deciso, fingendo indifferenza. Due rickshaw walla, tuttavia, non si arrendono così facilmente. Mi seguono a breve distanza, lanciando nuove offerte. Il prezzo scende ancora, e alla fine, con un sorriso, salgo su un tuk-tuk.
Il viaggio dura venti minuti. Attraversiamo strade polverose, piene di vita: negozietti che aprono le loro serrande, venditori che espongono frutta e verdura, e pellegrini che camminano con devozione verso i templi. L’aria è un miscuglio di odori: spezie, incenso e il fumo pungente dei chioschi che iniziano a friggere samosa per la colazione.
Finalmente arrivo alla guesthouse. La struttura è semplice, ma accogliente. La mia camera è spaziosa, con un grande letto coperto da una zanzariera leggermente ingiallita. Mi accorgo però che nel bagno non c’è acqua calda. Chiamo il ragazzo del personale, un giovane dall’aria sveglia e dal sorriso timido. Dopo pochi minuti ritorna, portandomi un grande secchio di acqua bollente. Mi preparo una doccia all’indiana: l’acqua calda del secchio si mescola a quella fredda del rubinetto, creando la temperatura perfetta. Mentre l’acqua scivola via, sento la stanchezza del viaggio dissolversi, lasciando spazio a un’energia nuova.
Rinfrescato, esco di nuovo e mi dirigo verso il tempio. Il percorso è breve, ma ogni passo sembra avvicinarmi a un’altra dimensione. All’ingresso del tempio, i controlli di sicurezza sono rigorosi: gli uomini perlustrano con attenzione borse e tasche. È come se volessero assicurarsi che chiunque entri porti con sé solo rispetto e devozione. Mi tolgo le infradito e le lascio al deposito scarpe per poche rupie.
Dentro, l’atmosfera è magica. I suoni delle campane e dei canti sacri riempiono l’aria, fondendosi con il profumo dell’incenso. Mi siedo sui gradini, osservando la gente attorno a me: famiglie in abiti colorati, anziani che recitano mantra con il rosario in mano, bambini che corrono ridendo tra i pellegrini. Il sole inizia a calare, e una luce dorata avvolge tutto, amplificando la serenità del momento.
Chiudo gli occhi per qualche istante, lasciandomi trasportare dalla pace che mi circonda. Mathura non è solo un luogo fisico: è un’esperienza, un abbraccio silenzioso di spiritualità e bellezza.
Siamo a pochi giorni dall’Holi Festival, e Mathura sembra già in fermento. Le strade sono animate da un’energia palpabile, una vibrazione che si sente nell’aria e nei sorrisi della gente. Ovunque, i colori dell’Holi sembrano già manifestarsi: polveri di gulal in vendita sui carretti, cumuli di polvere rosa, gialla e verde che sembrano anticipare la festa imminente.
Camminando per le vie della città, noto che tutti sembrano avere un sorriso per me. Gli abitanti mi salutano con un caloroso “Rādhā Rādhā”, un saluto che porta con sé la dolcezza della devozione e la gioia della festa che si avvicina. Il suono è melodioso, quasi ipnotico, come se ogni persona volesse condividere con me un frammento della loro fede e felicità. Rispondo con un sorriso e, talvolta, con un timido “Rādhā Rādhā” di rimando, che sembra suscitare ulteriore entusiasmo.
Le strade sono affollate ma non caotiche: venditori espongono dolci tradizionali come gujiya e laddoo, pronti per essere acquistati in vista della festa. Alcuni bambini giocano con pistole ad acqua colorate, già intenti a prepararsi per la grande battaglia cromatica che avverrà nei prossimi giorni. Il profumo dell’incenso si mescola all’aroma delle fritture e al dolce sentore del latte caldo usato per preparare il famoso thandai.
Mi fermo a osservare un gruppo di donne sedute a terra, intente a realizzare rangoli: intricati disegni realizzati con polveri colorate davanti alle porte delle case. I loro sari brillano al sole, e le loro mani si muovono con una grazia quasi rituale. Mi avvicino, affascinato dalla loro abilità, e una di loro mi sorride, invitandomi a partecipare. Esito per un momento, ma poi mi inginocchio e provo a disegnare una linea incerta. Le donne ridono bonariamente, guidandomi con pazienza.
Più tardi, mentre proseguo il mio cammino, passo davanti a un tempio dove i devoti stanno cantando kirtan. Il ritmo dei tamburi e il suono dolce degli armonium si diffondono nell’aria, attirandomi come una calamita. Entro, lasciandomi avvolgere dall’atmosfera sacra. Gli uomini e le donne danzano e cantano, completamente immersi nella loro devozione a Krishna e Rādhā. L’energia del luogo è contagiosa, e anche io mi ritrovo a battere le mani al ritmo della musica.
Mathura, in questi giorni che precedono Holi, non è solo una città: è un’esplosione di vita, di fede e di colori. La gente vive ogni momento con una gioia che sembra quasi sacra, e il semplice saluto “Rādhā Rādhā” è più di un’espressione: è un invito a far parte di questa celebrazione universale, dove il divino e l’umano si incontrano.
Domani mi sposto a Vrindavan.
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